lunedì 20 giugno 2016

Birrificio Angelo Poretti: una questione di luppoli!

Sono curiosa per natura: mi piace osservare, domandare, curiosare... e quando ne ho l’opportunità, unisco questa mia caratteristica con la passione per il buon cibo e il buon bere. È questo che mi ha portato di recente a visitare il Birrificio Angelo Poretti: una vera istituzione nella Valganna, in provincia di Varese, e non solo per la buona birra che produce!

Mi scuso innanzitutto per la lunghezza di questo post, ma le informazioni interessanti nate da questa visita sono così tante che meritano qualche minuto in più per la lettura.
Ma facciamo un (bel) passo indietro, perché il racconto della vita di Angelo Poretti parte 140 anni fa, per la precisione la notte del 26 dicembre 1877: è allora, infatti, che produce la sua prima birra. Forse rudimentale rispetto a quanto ottenibile oggi, ma con un punto fermo che caratterizzerà sin da subito l’attività del birrificio: la ricerca dei migliori ingredienti.
Durante la visita allo stabilimento – realizzata grazie all'attività dei dipendenti stessi del birrificio, che si impegnano nel far conoscere questa realtà attraverso veri e propri tour – faccio la prima scoperta: le proporzioni. Prendo in prestito una metafora di Laura Marchini, Corporate Affairs Manager di Carlsberg e "cicerone" durante la mia visita. Le proporzioni degli ingredienti per una birra sono simili a quelli per fare una pastasciutta: la pasta stessa (che nel caso della birra è l’acqua), il sugo (rappresentato qui dai cereali) e una spolverata di formaggio (i luppoli).

È evidente quindi quanto un'ottima acqua sia importante tanto quanto gli altri ingredienti! Angelo Poretti non ha scelto a caso la sede di Induno Olona: qui infatti c’è la Sorgente degli Ammalati, un’acqua di alta qualità che non richiede interventi invasivi per la sua purificazione.
I cereali vengono acquistati solo da fornitori capaci di offrire una qualità elevata e ripetibile: come vedremo, infatti, ottenere sempre il medesimo risultato è fondamentale quando si parla di birra!


Questione luppoli (nella foto qui sopra una parte della "biblioteca dei luppoli"): le birre di Angelo Poretti sono famose per mettere addirittura nel nome la quantità di luppoli utilizzati per la produzione. Bene, mettetevi il cuore in pace: ci sono ben 300 tipi diversi di queste piante, quindi al birrificio ci hanno assicurato che ci saranno idee per nuove birre per parecchi anni!
Si parlava della ripetibilità dei risultati ottenuti nella produzione della birra: fino a un secolo fa, infatti, il processo non era controllabile e i risultati erano discontinui. Quando è stata isolata la singola cellula di lievito da Emil Hansen, biologo danese della Carlsberg, le cose sono cambiate. È stato possibile riprodurla, conservarla e oggi è disponibile una vera e propria banca del lievito alla quale i principali birrifici si rivolgono per ottenere la materia prima originale!

Carlsberg sarebbe tornata nel 1982 nella storia del Birrificio Angelo Poretti con l’acquisizione del 50% delle quote, completata infine nel 2002.
Alberto Frausin mentre spilla una birra fresca!
Seguono anni non facili, complice anche la recente crisi economica e il calo dei consumi, ma l’amministratore delegato di Carlsberg Italia Alberto Frausin vede un grande potenziale per questa azienda: ottimi prodotti, idee innovative e un futuro potenzialmente brillante.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi i prodotti del Birrificio Angelo Poretti si trovano nei principali locali, nei supermercati e nei ristoranti, in molte varianti e per tutti i gusti.

Alla ricerca della massima qualità

Quello che non sempre è visibile (almeno per noi avventori) è la tecnologia che sta cambiando affinché la qualità delle birre rimanga sempre elevata. Perché se da un lato l’impegno per realizzare ottime birre è massimo all'interno del birrificio, una volta che il prodotto viene spedito e consegnato le condizioni cambiano: bottiglie e lattine vengono pastorizzate e mantengono le proprie caratteristiche fino all'apertura, ma con i fusti utilizzati nei pub e nei ristoranti la situazione è diversa.
DraughtMaster prima e dopo la "spremitura"
Per farla breve, la birra presente in questi grandi contenitori viene spillata grazie a un gas (l’anidride carbonica, CO2) che viene immesso per spingere fuori il liquido. L’ossigeno presente interagisce però con la birra, innescando un processo di ossidazione e variando le qualità organolettiche della birra stessa (a proposito: per lo stesso motivo è bene che nel versarvi una “bionda” a casa si crei un cappuccio di schiuma di circa un centimetro o due. Questo separa la birra dall'aria presente nell'ambiente e aiuta a mantenere il gusto inalterato finché non finite la vostra amata pinta!).

Ma come ovviare a questo problema? La rivoluzione si chiama DraughtMaster: un fusto in materiale plastico (il PET, lo stesso usato per le bottiglie d’acqua e molti altri prodotti per uso alimentare) che viene schiacciato dall'aria compressa per far fuoriuscire la birra, un po’ come facciamo con il tubetto del dentifricio!
L'impianto a pressione utilizzato
con i fusti in PET DraughtMaster
In questo modo la birra non è mai a contatto con gas ossidanti e mantiene inalterate le proprie qualità per circa un mese, contro i 3-5 giorni di un fusto in metallo. A nessuno piace andare in un locale e bere una birra che non sia al 100% delle proprie caratteristiche, giusto? Da questo punto di vista DraughtMaster risolve il problema, assicurando un prodotto eccellente a lungo.
Una volta terminato il fusto, lo si può gettare nel comune contenitore della plastica per il suo riciclo.

Fermi fermi fermi... so cosa state pensando, è venuto in mente anche a me: ok la qualità, ma non sarebbe più ecologico riutilizzare un fusto in metallo anziché gettare quello in PET? La risposta, con mia sorpresa, è no. Al Birrificio Angelo Poretti da diversi anni realizzano l'LCA: dietro questo strano acronimo si nasconde il Life Cycle Assessment, ovvero l’analisi dell’impatto ambientale di tutte le attività legate alla produzione della birra (a partire dall'acqua usata per annaffiare i luppoli, passando per l’approvvigionamento delle materia prime, il ciclo di produzione, il packaging, fino al camion per il trasporto della merce verso i consumatori e il recupero dei fusti in metallo vuoti).
Ebbene, rispetto ai fusti in acciaio si riducono del 28,6% le emissioni di CO2 nell'aria e si consuma ben il 19,9% di energia in meno (un fusto vuoto in acciaio pesa circa 10 kg contro i soli 300 grammi del DraughtMaster: già solo per il trasporto è un bel risparmio!). Ancora più evidenti sono i vantaggi rispetto alle bottiglie in vetro (-49,1% per la CO2 e -41% per l’energia) e le lattine (rispettivamente -25,8% e -33,2).
Insomma, al Birrificio Angelo Poretti ce l'hanno messa proprio tutta per assicurare non solo che la birra sia buona, ma che possa essere consumata nel migliore dei modi e che non impatti in modo negativo sull'ambiente.

Significativa infine la qualifica di "birra ufficiale" in occasione di Expo Milano 2015, dove in 6 mesi oltre un milione di visitatori ha potuto apprezzare altrettante birre spillate tra 11 ricette differenti (e una creata appositamente per l'evento!).

Se vi è piaciuto questo resoconto e vorreste visitare il Birrificio Angelo Poretti, sappiate che lo stabilimento di Induno Olona apre le proprie porte ogni tre mesi per visite gratuite (proprio come quella che ho fatto io). Il mio consiglio è di prenotarvi per la prossima e di godervi il tour: scoprirete un sacco di cose interessanti sul mondo della birra e avrete l’opportunità di parlare direttamente con i dipendenti dello stabilimento, apprezzando così l’entusiasmo che sanno trasmettere.

E, non ultimo, c’è un simpatico spaccio aziendale che merita di essere visitato!

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